Cari amici, in questo momento io ho una doppia natura, perché da una parte
parlo da responsabile del tavolo “Cultura” del programma di Rita
Forlini, candidata alle primarie del Centrosinistra di Ascoli e del progetto di
SinistrAperta e SEL, d'altra parte la mia militanza politica ha sostanzialmente
origini di movimento, dalle organizzazioni studentesche della prima gioventù,
passando per i movimenti per la pace degli anni Duemila, il Social forum di
Firenze come evento simbolico determinante e poi la militanza culturale e
artistica con l'associazionismo per cui ho operato negli ultimi dieci anni ad
Ascoli, o meglio dire ho tentato di operare oltre le mura del castello kafkiano
di un'amministrazione che ha sempre respinto come “stranieri” senza diritto di
cittadinanza i corpi estranei a un immediato rendiconto elettorale.
Parlo di una concezione della amministrazione come controllo
dei partiti su tutto, su ogni aspetto della vita cittadina, della politica come
una questione privata di feudi e baronati da controllare, di partiti che si
sono trasformati in delle mega associazioni private, parliamoci chiaro, in
delle lobby, che si appropriano di tutto e spartiscono i fondi pubblici tra
fedeli, in mance per i poveruomini che ti assicurano perlomeno quel po' di
fedeltà, con cui si instaura un immediato rapporto di sudditanza per cui ora ti
do un gettone, fai il bravino e tra tre mesi te ne darò un altro, poi se mi
assicuri che sei proprio bravo, che sei una bella funzione nella mia campagna
elettorale perenne vedrai che diventerai un amico della giunta. Per il resto i
fondi, come è noto, sotto forma di piccoli appalti pilotati che uno dopo
l'altro formano a fine anno un mega appalto pilotato, vanno a finire nelle
tasche dei finanziatori della campagna elettorale precedente, perché “eh, mi
dispiace, ma la politica funziona così”.
Non è vero, non funziona così. Se funziona così è perché si
vuole che funzioni così. Ma dire che cambiare è possibile non sono solo favole,
chiacchiere per cui un cittadino si deve fidare di un nome piuttosto che di un
altro, o di un partito che ha vocazione ideale di collegialità, sebbene certo
una buona carta di intenti è già un punto di partenza. Ma non basta, è ovvio.
Si devono trovare i modi tecnici per fare in modo, materialmente, che nessun
politico, che nessun partito, sia più in grado di utilizzare gli strumenti
comuni di un'intera cittadinanza, di una comunità, per pagare il dazio alle
proprie clientele e per dividere la città in buoni e cattivi.
Esistono dei mezzi tecnici, che diverse amministrazioni
virtuose che abbiamo come riferimento adottano, per superare questo scandalo
che è la responsabilità amministrativa intesa come potere di partito che
calpesta gli interessi, le richieste, le esigenze e le proposte più genuine di
una città che muore, desertificata, con un centro storico che per cinque sere a
settimana pare una città fantasma e nel week end un paese di bar in cui il solo
diritto di cittadinanza è quello di consumare drink.
Certo, eventi indipendenti ce ne sono, e anche di
istituzionali, sporadici e senza prospettiva, ma è evidente che manca l'ossigeno,
è evidente che manca l'acqua perché i semi migliori possano trasformarsi in
piante e queste piante possano dare frutti che sono beni comuni in termini di
rivitalizzazione cittadina, di fermento che integrato in un disegno complessivo
può tradursi in lavoro, in economia. Se prendiamo l'esempio del laboratorio di
Appignano in cui è praticabile la sinergia anche economica tra un'assemblea
delle associazioni e gli investimenti del pubblico e del privato, o se
pratichiamo il laboratorio pugliese in cui la sinergia dell'associazionismo si
aggancia anche al mondo della nuova imprenditorialità giovanile, cioè con i
progetti lavorativi della nuova generazione che tenta una strada fatta di
piccole ditte individuali, di partite IVA, se pensiamo a questi nostri modelli
ci accorgiamo che Ascoli Piceno in questo momento rappresenta esattamente la
loro più spietata negazione.
E infatti i migliori semi che la città esprime, isolati e
non curati muoiono in questo deserto che è il deserto delle idee e della
capacità di immaginare un disegno complessivo di riforma radicale della città e
dei suoi metodi amministrativi. Sono semi individuali o associativi, che
portano a strade diverse, perché ognuno di noi ha vocazioni diverse ma ogni
vocazione produce qualcosa che prima non c'era e questa trasformazione
dall'idea alla realtà, anche quando sembra una realtà particolare o di nicchia
o persino di militanza, perché cultura non è solo spettacolo e neutralità ma
anche dibattito e intervento di parte, come insegnano sin dalle origini della
tradizione Dante Alighieri o il nostro Cecco d'Ascoli, fa sì che ogni
singolarità in un contesto collegiale sia una ricchezza e un nutrimento, come
nella biosfera. Un dibattito, un confronto libero e aperto, una dialettica tra
punti di vista diversi, tra proposte e percorsi differenti, tutto questo crea
un fermento e il fermento crea una vitalità che diventa anche un riabitare gli
spazi, un riappropriarsi delle strade, dei locali pubblici, che se sono
pubblici vuol dire che sono a disposizione della vita e non dei fantasmi,
perché il termine Comune ha un senso etimologico bellissimo che vuol dire
Comunità, e se questo fermento è in grado di rigenerarsi e di attivare da sé un
ciclo in cui diventa auto-sostenibile, se si danno i luoghi e gli strumenti
iniziali perché un percorso umano possa svolgersi, ecco che da questo ciclo
potranno nascere attività economiche o comunque poli attrattivi, come
attualmente accade nei piccoli comuni della provincia di Ascoli, nella vallata
del Tronto. Ma non accade ad Ascoli!
Quali sono gli strumenti, di cui parlavo, per inchiodare la
politica al rispetto della sua funzione ordinatrice e non dominatrice delle
esigenze della realtà?
1) Rita ha parlato del Patto di solidarietà e del nostro
laboratorio di Appignano, uno dei comuni che esprime la nostra area di pensiero
politico. Un patto non a parole, si tratta di un vero e proprio contratto con
tanto di data e di firme, tra associazioni e amministrazione per coogestire un
finanziamento economico collegialmente, non nel segreto delle stanze e delle
trattative dei partiti con singoli esponenti fidelizzati ma in una assemblea
pubblica in cui sono presenti tutte le realtà associative, che siano onlus o
che siano culturali o giovanili.
2) Democrazia partecipativa e il modello Grottammare, che è
l'altro importante Comune assieme ad Appignano in cui le idee della Sinistra
esprimono un modello amministrativo. Grottammare era una città poco animata,
che dopo quindici anni di giunta arancione è diventata un vero e proprio gioiello,
un laboratorio, un modello di partecipazione e vitalità. La democrazia
partecipativa consiste nell'obbligo dell'amministratore alla più completa
trasparenza di spesa, alla giustificazione pubblica della stessa e al metodo
della interlocuzione tra amministratori e assemblee pubbliche per la
rendicontazione del già fatto e per la progettazione del da fare. Questo metodo
è innovativo perché consente, nella prassi e non solo nella teoria, di
determinare delle sinergie tra intervento pubblico, cittadinanza attiva e
attività commerciali. Ascoli che è ben più grande di Grottammare si potrebbe
dotare di diverse assemblee relative alle aree: Monticelli, Piazza immacolata,
Centro storico, etc. Per fare un esempio possiamo pensare ad un evento tal de
tali, che grazie al metodo partecipativo viene costruito in modo che le istanze
delle associazioni e delle attività commerciali specifiche relative al tipo di
evento diventino esse stesse il comitato promotore. Inoltre cosa si determina?
Che le assemblee assieme agli amministratori sono nella condizione di valutare
se le strategie precedenti hanno portato dei frutti e confermarle o, in caso
negativo, cambiarle, insomma, il concetto è che la politica che non gode di
grande fiducia, perché come si dice “se sali al potere poi diventi come tutti
gli altri”, in questo modo spalanca le porte alla comunità. Partecipate, venite
a vedere, venite a capire cosa stiamo facendo e perché.
3 ) Sedi e mezzi alle associazioni. Ascoli è una pura
anomalia nel contesto della sua stessa provincia. Da un capoluogo, da questo
vero gioiellino di scenografia architettonica, si richiederebbe una scena
culturale competitiva perlomeno a livello regionale se non nazionale, fatta di
festival indipendenti, teatri, concerti di musica colta o di genere, proposte
qualificate e aggiornate. No. Per trovare tutto questo occorre prendere l'auto
e andare in vallata, dove l'unione dei comuni ha predisposto un piano per
l'associazionismo che funziona bene e che porta sulla via Salaria ogni anno
fior di eventi attrattivi per l'esterno e fior di partecipazione interna di
giovani ragazzi che ci pensano due volte, adesso, prima di andare via dal
proprio paese. Perché mettere le radici in un luogo significa germogliare,
significa che il proprio corpo in quel luogo finalmente ha un posto, significa
che finalmente quel corpo si sente partecipe e protagonista dello sviluppo di
una storia, che non è l'alienazione di una vita passata a rimpiangere le
speranze perdute ma è la pratica quotidiana della crescita, è il mantenimento
di quelle promesse! Se per trovare tutto questo si deve andare altrove, persino
in città più piccole, persino in paesi che sono in provincia della nostra città
natale, allora significa che in questo posto c'è davvero qualcosa di
profondamente sbagliato.
Tutto questo non è normale. Tutto questo non è naturale.
Perché lo accettiamo? Perché ci siamo rassegnati a questa asfissia, a questa
claustrofobia, a questo spleen, all'assurdità di un Capoluogo di provincia che
non ha previsto nessuna sede a nessuna associazione mai e da anni, da decenni,
da quindici anni i migliori artisti, attori, pittori, registi e i nostri più
importanti militanti culturali, giovani talenti di una generazione piena di
idee vanno ad operare altrove. Non solo a Londra, non solo a Berlino! Vanno a
Offida, vanno a Colli, vanno a Castel di Lama, vanno a San Benedetto o a
Grottammare e lì fondano associazioni e lì trovano spazi e mezzi e con quegli
spazi e mezzi costruiscono comunità. È una vergogna!
È la vergogna di una classe politica che non vuole bene alla
propria comunità. Sono quindici anni, è metà della mia vita, che subiamo la
follia di una destra baronale e feudale, feticista del potere e del controllo,
che ti toglie l'aria pur di averti in mano, che intende cultura come spettacolo
e pubblicità da campagna elettorale perenne, e intende la cittadinanza come
pubblico passivo il cui solo diritto è quello di applaudire, tutto questo non è
più accettabile e deve essere ribaltato completamente nei suoi presupposti
strutturali, non a parole, non per una sostituzione di bandiere o di casacche o
di nomi ma di disegno complessivo di vita comune!
Una “Cittadella delle associazioni” dunque, ne ha più volte
parlato Pietro Cordoni, un luogo che possa essere abitato da atelier di artisti
o da sedi di produzione video-sonore per gruppi musicali o registi o da spazi
per i cineforum o per incontri e per le assemblee o i workshop o per qualunque
progetto pubblico di ogni tipologia e livello. Una “Cittadella” dove le
associazioni possano vivere e in cui gli spazi pubblici siano animati da
iniziative che non siano di puro assistenzialismo, come nel modello ormai
superato e fallito e non più sostenibile degli anni Ottanta, ma che abbiano il
fine di produrre lavoro e progetti che siano calamita di fondi europei per cui
un'Amministrazione può essere un grande alleato.
Il discorso è potenzialmente infinito. Malamente l'ho
tradotto in questa traccia che segna solo un metodo. Il discorso è infinito
perché a partire da questa traccia poi vanno sviluppate le proposte concrete e
fondamentalmente la vocazione territoriale che un'amministrazione deve darsi, e
che secondo me, ad esempio, è anche l'idea che al “tradizionalismo” come
immobilità, che è la proposta culturale della destra, che non produce neppure
turismo perché produce un turismo giornaliero, vada contrapposta l'idea che
“tradizione è sperimentazione”, che lo studio e l'amore della storia non è in
contrapposizione con lo sviluppo di nuove avanguardie elettroniche o del
digitale o della videoarte. Pensate che fior di tradizione, di sperimentazione,
di innovazione e di amore per il territorio che potrebbe essere un Festival di
arti digitali dove si fanno installazioni visive proiettate sul nostro
palcoscenico bianco di travertino, uno spettacolo inimmaginabile che può essere
messo in relazione anche alla nostra università, che dal design
all'architettura lavora sul concetto di scenografia elettronica e di scultura
digitale. Pensiamo, oppure, al Festival della Memoria e della Libertà di cui
abbiamo già parlato in riferimento alle nostre radici costituenti e alla nostra
Medaglia d'oro per attività partigiana, dove la Memoria della nostra
Liberazione dalla dittatura esca fuori dall'odore di museo, dall'odore di
stendardo e coccarda, e torni ad essere una materia viva e vitale, torni ad
essere tema della Libertà e del Diritto come conquista quotidiana e costante,
individuale e sociale, con una kermesse di incontri e di spettacoli e di eventi
anche sui temi del presente, della libertà ancora negata o dei principi violati
ancora oggi nel mondo e pensate come qui potrebbero entrare in sinergia
associazioni che si occupano di Resistenza ma anche altre che si occupano di
altermondialismo o di guerra, assieme alle Biblioteche e alle scuole superiori,
in un evento che ospiti personalità di rilievo nazionale e internazionale ma
che anche riviva il nostro territorio, magari andando a visitare i sentieri dei
partigiani. Le idee sono così tante che dobbiamo solo trovare il modo per fare
saltare il coperchio che le tiene represse, che le reprime, questa cappa nera
che opprime la città.
Ora qui in questo momento non chiediamo adesione ma dialogo
e conoscenza reciproca. Cerchiamo innanzitutto di conoscerci e di riattivare
una comunità.
Davide Nota